Jaanus Samma svela storie queer dell’Estonia

Jaanus Samma fa parte di quegli artisti la cui ricerca è spinta da una particolare attenzione per il passato, che viene analizzato per affrontare e criticare il presente con le sue ferite che sono ancora aperte.

Jaanus Samma è cresciuto nell’Europa dell’Est post sovietica. Per questo che il suo lavoro si concentra su un’analisi, sotto forma di archiviazione della mascolinità gay nell’Estonia sovietica. Luogo dove l’omosessualità è stata penalizzata e dove gli argomenti LGBTQ+ sono ancora un tabù.

Lo abbiamo incontrato a Milano presso la galleria Conceptual Fine Arts il giorno prima dell’opening della sua nuova mostra. Jaanus è una persona molto introspettiva e calma, è un artista che pondera le parole conducendoti nel suo mondo.

Jaanus Samma è interessato alla storia queer della sua terra, con l’intento di mettere a nudo alcune realtà gay, che provengono dal passato e che sono da lui utilizzate per far comprendere che quello che c’è adesso nella sua terra non proviene dall’Ovest, ma è sempre esistito. Il suo corpus di lavori comprende installazioni, foto e video che indagano sulla rappresentazione della sessualità maschile.

Il suo modus operandi tende a mettere in discussione una serie di nozioni acquisite, legate a concetti di verità e attendibilità delle fonti. Jaanus si propone di suggerire interpretazioni, visioni alternative e nuovi punti di vista. In questo senso, il lavoro di Jaanus Samma sottolinea l’importanza e la divergenza tra memoria personale e collettiva.

Pieces of Antiquity, Marble, 2019, Courtesy of the artist and Temnikova & Kasela Gallery

Sono molto colpito dalla storica sessualità gay nascosta nell’Unione Sovietica che sei stato in grado di far emergere nei tuoi lavori. Com’è cominciato il tutto?

Tutto è iniziato circa dieci anni fa, ero curioso di sapere come la gente si incontrava in passato. Sono nato nel 1982 e onestamente non ricordo nemmeno come funzionasse il sistema. Iniziai a fare interviste a persone principalmente uomini. Non sono ne uno storico ne un ricercatore, probabilmente loro condurrebbero la ricerca in maniera differente.

I miei strumenti sono differenti e quindi mi sono sentito legittimato di dare poi la mia libera interpretazione di quanto stavo scoprendo. Questa parte di storia queer non è registrata da alcuna parte, ho creduto che fosse interessante colmare e quindi inventare alcune cose che non sono state documentate. Dove c’era un buco ho provato a colmarlo con la mia intuizione. Direi che quindi tutto è incominciato per mia curiosità.

Flaminio Station 1, Digital print on ceramic tiles, metal frame,rubber toilet pulls and chains, 2017, Courtesy of the artist and Temnikova & Kasela Gallery

Credo che la storia queer non sia raccontata abbastanza, che molte delle nuove generazioni non sappiano esattamente tutto quello che ci ha portato oggi ad essere parte di una comunità LGBTQ+. Come accennavi molte cose non sono nemmeno documentate quindi penso che partire dalle interviste di persone che erano presenti in quel periodo sia un ottimo punto per scoprire. È così che sei venuto a coscienza dei bagni pubblici, uno dei luoghi di cruising per eccellenza che si trovava al centro di ogni città? Cosa che orami è stata completamente sorpassata da app come Grindr. Che cosa ne pensi?

I bagni pubblici sono stati presenti nel mio lavoro per due volte. Forse non sono la persona più adatta a cui chiedere come le cose siano cambiate, in quanto nemmeno io c’ero, né mi sono trovato in quel contesto. Sicuramente posso provare un sentimento di nostalgia. Ho fatto interviste ma ho anche osservato molte denunce del periodo riguardo agli atti di omosessualità che erano vietati all’epoca. Alcuni di questi casi sono archiviati in tribunale.

Quello che ho scoperto è che quelli erano uno dei pochi luoghi, poiché le persone gay avevano pochissimi possibilità di incontrare qualcuno, soprattutto per paura. Penso che forse le persone che fanno cruising oggi, si divertano maggiormente rispetto a prima.

Per me i bagni erano anche un non luogo che era presente al centro della città dove le persone gay potevano sperare di avere un momento di libertà.

Study of a Glory Hole, Ink on paper, collage, 2016, Courtesy of the artist and Temnikova & Kasela Gallery

Come hai tradotto simboli come il glory hole o il toilet cleaner in arte?

Tutto ha avuto origine dall’estetica del primo novecento, presentato sotto forma di cabinet e di quell’estetica da biblioteca. Volevo giocare con questi simboli e tradurli in qualcosa di bello, grottesco e brutto. Incorniciati in queste bellissime cornici. Avevo fatto una ricerca a Roma e avevo fotografo elementi barocchi che ho poi utilizzato per decorare queste immagini.

Study of a Toilet Cleaner, Ink on paper, collage, 2017, Courtesy of the artist and Temnikova & Kasela Gallery

Uno dei tuoi lavori è l’installazione chiamata Riga Postcard, che hai presentato alla Biennale. Me ne parli?

Quando parlai con il curatore mi aveva detto di fare qualcosa di specifico riguardo a quel determinato luogo. Ne ero molto incuriosito ma allo stesso tempo mi sentivo poco a mio agio perché non volevo essere uno di quegli artisti che vanno in un luogo non ne sanno nulla e creano qualcosa a riguardo, senza conoscerne la storia e tutto il resto.

Così alla fine decisi di fare un turistic pavillion, che raccoglie una collezione di sciarpe che raffigurano alcune cruising area di Riga, non ho scattato io le foto, ma sono prese da libri turistici e da vecchie cartoline degli anni 70 e 80. Per quanto riguarda l’istallazione è partita da quella delle fiere di quel periodo, ricordo che all’epoca avevano queste composizioni floreali ed è per questo che ho voluto inserirle.

Riga Postcards, Installation, digital print on silk, metal stands, flower arrangement., 2020 Commissioned by the 2nd Riga International Biennial of Contemporary Art, RIBOCA2., Courtesy of the artist and Temnikova & Kasela Gallery Photo: Ansis Starks

Credo che l’arte sia un ottimo strumento per creare domande ed anche per infastidirci. Apprezzo la tua perché è una di queste, soprattutto anche nei rispetti della comunità LGBTQ+. Cosa pensi dovremmo ancor fare prima di essere totalmente accettati?

Forse il modo migliore è quello di mantenere la discussione viva. A me interessa attraverso il mio lavoro mostrare che alcune cose sono esistite da sempre, che non è qualcosa di nuovo importato in Estonia proveniente dall’ovest come alcuni considerano.

Public Toilet, Pigment print, 2015, From the exhibition NSFW. A Chairman’s Tale, Estonian pavillion at the 56th Venice Biennale Courtesy: the artist and Temnikova & Kasela gallery

Come hai scoperto la storia del Chairman?

Quando ho iniziato a fare le interviste ho sentito parlare per la prima volta di questo Chairman. Ho incontrato molti dei suoi amici e persone che lo conoscevano, non tutti sapevano il suo vero nome. Questo è importante perché fa vedere che tutti avevano un nomignolo per restare nell’anonimato e al sicuro. Era illegale essere gay e dovevi stare nascosto sopratutto negli anni ’60. Il cosiddetto Chairman era un presidente del kolchoz, un veterano di guerra e un padre di famiglia, che viveva nell’Estonia dell’era sovietica.

A metà degli anni ’60, il presidente fu espulso dal Partito Comunista a causa della sua implicazione in un caso giudiziario che si occupava di atti omosessuali. Due anni dopo, dopo un degradante processo d’indagine, fu condannato a un anno e mezzo di lavori forzati. Poiché perse il suo status sociale, oltre che della sua dignità, famiglia e lavoro, il Chairman si trasferì in città.

Come ex detenuto, fece solo lavori di basso livello. Tuttavia, il Chairman ha trovato riconoscimento altrove, diventando famoso nella comunità gay locale per il suo comportamento oltraggioso tra orge e cruising. Nel 1990, appena un anno prima che l’Estonia riacquistasse l’indipendenza e l’omosessualità fosse depenalizzata, il presidente fu assassinato, presumibilmente da un soldato che lavorava anche come prostituto.

Trial #2, Pigment print, 2015, From the exhibition NSFW. A Chairman’s Tale, Estonian pavillion at the 56th Venice Biennale Courtesy: the artist and Temnikova & Kasela gallery

Qual’è la lezione più importante che la vita ti abbia mai insegnato?

Ad essere paziente. È una cosa su cui sto ancora lavorando.

Pattern No 23, Crayon, Indian ink, 2021, Courtesy of the artist and Temnikova & Kasela Gallery