La Regina degli scacchi è la serie rivelazione di Netflix che devi vedere.

La Regina degli scacchi, la serie rivelazione di Netflix, potrebbe essere figlia di David Fincher e Wong Kar-way se ne avessero fatto uno. Sette episodi diretti e sceneggiati da Scott Frank con Anya Taylor-Joy (The VVitch, Spalti, Emma.), alla rincorsa di una campionessa di scacchi.

Alla base della serie c’è l’omonimo romanzo di Walter Tevis. Se il nome non vi dice molto pensate a Lo spaccone di Robert Rossen con Paul Newman, al suo seguito, Il colore dei soldi di Scorsese con Paul Newman e Tom Cruise, poi ancora a L’uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg con David Bowie: tutti tratti da suoi libri. 

la regina degli scacchi

La storia è quella di Beth, un’orfana che – grazie a all’aiuto del burbero custode dell’orfanotrofio in cui è finita a 9 anni – scopre di essere la regina degli scacchi.

Anche quando verrà adottata da una coppia borghese, che in realtà ben poca attenzione le presta, il suo unico obiettivò è quello di giocare a scacchi, di imparare, di vincere.

Entra così nel circuito dei tornei, dimostrando a tutti di essere un vero e proprio fenomeno, inarrestabile – all’apparenza. Esistono anche tornei femminili, ma dato che il regolamento non lo vieta per Beth l’unica scelta possibile è quella di competere con i più forti, gli uomini; non vuole essere seconda a nessuno.

Solitudine, speranza e dipendenza sono gli ingredienti attorno a cui ruota la vita di questa campionessa, dipendente fin da piccola da psicofarmaci e poi, da adolescente, anche dall’alcol. 

È un outsider Beth, non capisce le sue coetanee – tutte concentrate su vestiti, ragazzi e canzoni pop – e loro non capiscono lei, solo gli scacchi la ossessionano: vincere è il suo riscatto dallo squallore e dall’alienazione.

la regina degli scacchi

Si sente viva solo quando è davanti a una scacchiera, poi alcol e pasticche per mettere a tacere le ombre che la rincorrono.

Nella sua mente gioca e rigioca le partite vinte, per scoprire i suoi punti deboli, quelle perse, per capire come superarsi.

Sulla scacchiera – al contrario di quanto avviene nella sua quotidianità – prende vita un mondo che è in grado di capire, di padroneggiare, di controllare.   

Torneo dopo torneo Beth si fa strada in un mondo di uomini, sembra imbattibile, è al contempo fredda e istintiva, la guidano una determinazione e una rabbia che scorrono avide sotto pelle. 

Scott Frank, già alla sceneggiatura di film come Minority Report (Steven Spielberg, 2002) o The Interpreter (Sydney Pollack, 2005), riesce a calibrare il ritmo e il tono della narrazione in maniera intelligente ed efficace, dopo il primo episodio introduttivo procede spedito nel raccontare l’ascesa della sua protagonista nel competitivo mondo degli scacchi, fino allo scontro con i giocatori più temibili, i russi.

la regina degli scacchi

Il regista dà così vita a un dramma che alterna suspense e malinconia, scavando nelle profondità delle sua protagonista senza diventare troppo celebrarle o cupo.

Di grande impatto ambientazioni, costumi e fotografia. La palette, caratterizzata da toni prevalentemente autunnali, è studiata per far risaltare il rosso vermiglio dei capelli di Beth; sullo sfondo gli Stati Uniti degli anni ’60 che cambiano lentamente, anno dopo anno.

Costumi, e location (bellissime quelle degli alberghi e dei centri commerciali) rivelano un lavoro di produzione raffinato e maniacale, pensato però sempre in funzione della storia e dei suoi personaggi, senza diventare mai mero espediente estetico. 

Conoscere o meno le regole del gioco non fa differenza. Gli scacchi sono il MacGuffin attraverso cui raccontare un coming of age pieno di ombre e solitudine, ricco di complessità, dove il fascino della dipendenza e il dono dell’autonomia si intrecciano nel costruire una narrativa sul genio femminile.

Anya Taylor-Joy è magnetica e incarna alla perfezione il personaggio di Beth, con le sue nevrosi e il suo orgoglio, le dona una dolcezza severa, animata da furia e desiderio.

la regina degli scacchi

A rendere la Regina degli scacchi una serie perfetta c’è – anche – il lavoro sui personaggi secondari, caratterizzati e scritti in maniera meticolosa, pieni di sfaccettature e umanità. Tra i più riusciti quello della madre adottiva di Beth, Alma (Marielle Heller), una donna  piena di frustrazioni, ingabbiata in un’esistenza borghese e solitaria che la deprime e la schiaccia.

Quello tra lei e Beth è un rapporto particolare, la donna non riesce a vedere nella ragazzina adottata all’orfanotrofio una figlia, col tempo, invece, la loro diventerà una complicità tra donne adulte e sole, in grado di consolarsi a vicenda con una mano stretta in silenzio. 

Sulla strada del successo Beth fa incetta di cuori infranti, a volte il suo. Affascinanti e frustrati, gli scacchisti che incontra sul suo percorso sono amici, complici e – talvolta – amanti.

Rivali raramente, lei è più forte, e lo sa bene – loro anche, e non possono fare a meno di cadere ai suoi piedi.  Ma è proprio a un passo dal traguardo, in bilico tra la gloria e il baratro della sconfitta, che scopre – nonostante la lunga strada piena di cadute e traversie – di non essere stata mai realmente da sola.